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GIUSEPPE LA BORIA, VINCITORE DEL PREMIO MONTAG, SEZIONE NARRATIVA, CI DISVELA IL VIAGGIO DI UN UOMO GIUNTO AL BIVIO

“La luna rossa di Harar” è il romanzo vincitore della quarta edizione del Premio internazionale Montag per la sezione narrativa. Una storia coinvolgente, impegnativa emotivamente e che sa generare una profonda empatia. Un romanzo vero, fatto di incontri e sconvolgimenti, di luoghi fisici e dell’anima, che non dà respiro, conducendo lettori e lettrici nel mondo di Roberto, costruito su aspirazioni e conflitti, passati e futuri.

Giuseppe, dicci qualcosa di te. Il te che nessuno può conoscere leggendo la tua biografia.

Mi spiace deluderti, ma non ho nulla di interessante da dire su di me, in questo contesto esiste solo colui che ha scritto il romanzo, ed è persona diversa da me. Vive una propria vita autonoma. Ed è sempre stato così, dalle prime ingenue poesie alle medie in poi, folgorato da Une saison en enfer. Io lavoro e lui scrive, pensa, sogna quasi sempre di notte. A volte lo invidio, per la sua libertà, per il potere infinito che hanno gli scrittori di creare, per l’onnipotenza, per capacità di distorcere e spremere le parole fino a distillarne un liquido colorato. Creare li rende Dio per un breve attimo. Possono sconvolgere, distruggere, far innamorare, uccidere, tutto passa attraverso le loro emozioni e la loro creatività. Una storia è creta nelle loro mani e possono modellarla a loro piacere. La petite morte della creazione. L’orgasmo di vedere qualcosa che nasce ed evolve secondo il loro sentire e volere. Si, io lo invidio. Questa è la sola verità.

“La luna rossa di Harar” è un sentiero che scava nell’animo umano. Un viaggio di contrasti che appaiono, a volte, irrisolvibili. Dove realmente vuoi condurre il lettore?

Anche su questo penso di doverti deludere, da nessuna parte, è proprio questo il punto, da nessuna parte. Desidero solo che il lettore trovi la sua strada dentro il romanzo, lo viva, lo veda e lo ascolti secondo il suo sentire e le sue emozioni. Non ho nessuna velleità di insegnare, di condurre o di aiutare. Offro delle strade e delle porte e il lettore sceglie quelle che gli sembrano più adatte alla sua sensibilità, chiudendo o non aprendo quelle che non gli piacciono. Diventa così una storia senza un manuale di interpretazione predefinito, ma un luogo dove il lettore scompone e ricompone a suo piacimento la trama. La Storia vive di un contrasto terribile all’interno della sensibilità del protagonista, i personaggi che attorniano Roberto altro non sono che immagini di sé stesso proiettate verso l’esterno, che rimbalzando violentemente su uno specchio rientrano nel protagonista, cambiate e deformate. Storia complessa e piena di colpi di scena dove non sembra esserci possibilità per un Amore grande, eroico, epico, unico, ma solo per piccoli amori che rischiano di annegare nella noia e nell’abitudine. Lo scontro violento tra due donne diverse e contraddittorie sembra non indicare alcuna via di salvezza, ma il ribaltamento finale apre a una soluzione inaspettata e sconvolgente. Mentre a Roma scoppia un temporale di inaudita violenza, e una Jeep viaggia nel deserto verso Harar… Storia perfettamente circolare che si chiude da dove è partita: dall’iconica luna rossa di Harar che caratterizza il racconto, perché la fine è il vero inizio.

In dieci parole: perché dovremmo leggerlo?

Ti risponderò in modo diretto, sintetico e spero chiaro. Non mi interessa molto che questo romanzo sia letto, Vorrei il romanzo fosse visto, ascoltato e vissuto. Perché in un romanzo, come e meglio di un film, le immagini scritte dovrebbero uscire dalle righe e colpire al cuore, le parole dovrebbero urlare per il loro suono e musicalità, non solo e non tanto per il loro significato, i colori dovrebbero abbagliare. Una porta aperta che lasci passare correnti passionali in entrata e in uscita.

Ecco perché un romanzo non dovrebbe mai insegnare, né essere didattico o pedagogico, ma lasciare aperte tante porte di interpretazione, in entrata e in uscita. E avere magari diversi finali. Ogni lettore dovrebbe poterlo interpretare come più gli piace.

Malgrado l’autore si illuda del contrario, qualcosa di sé filtra sempre tra le pagine. Quanto c’è di Giuseppe nelle sue storie?

Di Giuseppe? Davvero niente. Risulta poi evidente che le emozioni siano filtrate dalla mia sensibilità, dal mio modo di sentire, e questo fluisce inevitabilmente nel racconto. Ma sono solo emozioni, sensazioni, visioni, colori, non storie vissute, solo immaginate.

Questo racconto è totalmente inventato, e ha avuto una gestazione lunghissima per le ragioni che spiego nelle note del romanzo. Cerco di immedesimarmi nei protagonisti, di trasformarli, di plasmarli, di farli parlare, ridere e piangere secondo le mie visioni e i miei piani.

Ma cosa c’entra Rimbaud col romanzo di Giuseppe La Boria?

Jean-Nicolas-Arthur Rimbaud, c’entra con tutto, con l’arte, con la vita. Con la nostra vita. Lui è l’arte nella sua accezione più alta e raffinata. Chi dai 14 ai 19 anni, in 5 anni ha sconvolto e cambiato per sempre la letteratura mondiale deve per forza aver a che fare con qualsiasi cosa che riguardi l’arte. Rimbaud è stato un compagno fedele della mia adolescenza, Rimbaud rappresenta la perfezione insuperata e insuperabile dell’arte, ed è normale provare a prendere, molto modestamente, ispirazione da lui. Una sorta di debito di riconoscenza che non verrà mai pagato a sufficienza. Ogni sua riga è un capolavoro iscritto nella storia del mondo. Certamente è stato il primo a usare le parole più per il loro suono e bellezza che per il loro significato. Anestesie fulminanti, allitterazioni che fanno parlare le parole, basti pensare al sonetto delle vocali e i loro colori, o al Bateau ivre: riesci a vedere fisicamente quel battello che discende il fiume e tutti i colori e i rumori dell’acqua, lo senti e lo vedi sbattere sulle rive ed essere travolto dai marosi. Grazie Genio!

Come nasce il Giuseppe scrittore?

Non credo che nasca, non c’è un Giuseppe scrittore, ma il mio alter ego che di fatto ruba emozioni e immagini, colori e suoni e li trasforma, bene o male in parole, trame e storie. E di questo lo ringrazio.

Su cosa hai costruito la tua strada per la scrittura?

Penso che uno scultore scolpisca sempre la stessa statua, un pittore dipinga sempre lo stesso quadro e uno scrittore scriva sempre lo stesso romanzo. Nel senso che lo stile, le radici, il DNA resta lo stesso, anche se in storie molto diverse. Un marchio di fabbrica che esiste in chi ha un proprio stile artistico riconoscibile. Ho provato a scrivere questa storia, un romanzo difficile, avvincente, avvolgente e soprattutto colorato. Si, penso che ci siano i colori che escono dalle parole, dalle immagini, dalla musicalità.  Ecco, quindi, la risposta alla tua domanda: colore, musica, immagini, parole, suono, passione.

Come ci si sveglia il giorno dopo aver vinto un premio?

Beh, diciamo che è stata una bella sensazione, sicuramente una gioia. Vincere un contest letterario, tra migliaia di partecipanti dà gioia e orgoglio, pur restando con i piedi per terra, ma dà una grande responsabilità. Chi ha scelto questo romanzo, così diverso, sofferto e difficile, premiandolo, ci ha creduto, e ci ha creduto soprattutto la casa editrice, rischiando in proprio e interpretando in modo nobile e alto il ruolo che dovrebbe essere quello di una casa editrice. Scrivere è davvero una grande responsabilità, per quello che si scrive e per come lo si scrive. Ringrazio quindi chi ha avuto la forza, il coraggio e l’incoscienza di far vincere il premio Montag, sezione narrativa, al romanzo La Luna rossa di Harar.

Il libro lo trovate cliccando QUI


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